… and I know too much now

To really feel at home in any one place.

(Goh Poh Seng)




venerdì 10 dicembre 2010

Kabul



Dopo piu' di trenta ore di viaggio sono arrivato. Ho sorvolato l'atlantico fino a Fancoforte. Poi ho sorvolato l'europa e buona parte dell'Asia, fino a Dubai. Ho visto dal finestrino una citta' irreale, l'arcipelago artificiale a forma di palma, le autostrade in mezzo al deserto, l'edificio piu' alto del mondo, Burj Khalifa, uno spillo affilato che trapassa le nuvole. Poi l'ultimo volo, attraverso le bellissime montagne afghane, fino ad atterrare in un aereoporto che sembra piu' una base militare. Il mio passaporto blu mi garantisce un agile passaggio della frontiera e un posto su una jeep militare con vetri antiproiettile e autista in stile Rambo. Vengo portato direttamente nella base dove si trova l'ufficio della WB. Intorno a me solo sacchi di sabbia, uomini armati di kalajnikov, filo spinato ed edifici anonimi. Il security briefing e' la prima tappa per tutti. Mi consegnano una radio e un cellulare, e mi insegnano come comunicare con gli autisti e i vari addetti alla sicurezza. Poi finalmente un letto e qualche ora di sonno. Ci rechiamo all'hotel Serena di Kabul dove presentiamo il nostro progetto nel corso di un seminario sullo sviluppo del settore privato in Afghanistan. Molto interesse, molte domande. Conosco molti afghani che lavorano a Kabul. Avvocati, architetti, professori. Mi sorprende quanto siano interessati alla nostra presentazione e a quello che facciamo. Torno alla base. Un'altro scorcio di Afghanistan rubato da dietro il vetro antiproiettile di un gippone. Un vero peccato non poter scendere e camminare, esplorare, vivere, come sono sempre stato abituato a fare. D'altronde anche Kathmandu sotto assedio dai maoisti non era troppo diversa, almento ad occhio. Qualche soldato in meno, ma neanche troppi. Le circostanze sono pero' chiaramente diverse, anche se e' difficile abituarcisi.

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